Con l’anno nuovo partono i lavori del Tren Maya nella penisola dello Yucatán in Messico. Un progetto di ferrovia che dovrebbe unire le principali zone archeologiche Maya presenti nei quattro stati del sud est messicano. Una grande opera con cui Andrés Manuel López Obrador inaugura i sei anni di presidenza.
[Campeche, Messico]
Con tutta probabilità sarà l’opera più importante del sessennio di López Obrador, iniziato il primo di dicembre scorso: quella che è destinata a garantirgli, una volta realizzata, fama imperitura. Viaggiando per la penisola, dalla Riviera Maya del Quintana Roo (affollata all’inverosimile di turisti che alternano i bagni nel Caribe ai tuffi nei numerosi cenotes – le immense cisterne naturali in cui da secoli si raccolgono le acque dolci che un terreno calcareo fa filtrare nel sottosuolo, oasi di fresco nell’infinita foresta che ricopre lo Yucatán) alle più sperdute rovine di civiltà scomparse, non c’è voce che si sia lasciata andare alla critica.
O almeno, non siamo riusciti a registrarne alcuna tra la gente, ben consapevole che dei circa dieci milioni di turisti che ogni anno atterrano a Cancún solo una parte è attratta dalle sempre più affollate spiagge che ormai hanno perso il fascino del tempo lontano in cui ci eravamo stati l’ultima volta. Perché se ancora il Caribe messicano sa attrarre il turismo familiare e quello dell’avventura un tanto al chilo consumata sotto una palma cocotera sorseggiando l’immancabile cocktail Margarita, è pur sempre la cultura Maya ad attrarre turisti e viaggiatori con la sua offerta infinita di città in rovina.
Ed è pure plausibile, a ben pensarci, che l’annuncio con cui Andrés Manuel López Obrador ha dato inizio alla costruzione del Tren Maya sia stato interpretato come lo stesso presidente – anche lui originario di uno stato del sud, il Tabasco – nel suo discorso di Palenque in Chiapas della scorsa metà di dicembre aveva auspicato: “un atto di giustizia” destinato a stravolgere la faccia dell’impoverito sud est messicano, la regione più abbandonata del paese.
Se quella di Palenque è stata poco più di una cerimonia simbolica alla quale hanno partecipato, fatto importante, i rappresentanti delle comunità Maya, ha dato avvio alla fase di licitazioni pubbliche che permetteranno di portare a termine in quattro anni più di 1500 chilometri di strada ferrata che collegherà gli stati di Tabasco, Chiapas, Campeche, Yucatán e Quintana Roo, ovvero la culla della cultura Maya di cui dispone il Messico. Del resto, anche la consultazione popolare che Amlo aveva messo come condizione per l’avvio dei lavori, che ha comunque richiamato il 25 novembre solo l’uno per cento della popolazione, ha dato un risultato schiacciante e favorevole pari all’89,9 per cento dei votanti.
Percorrendo le strade esasperatamente rette della penisola yucateca, di tanto in tanto ci si imbatte in tracciati di binari arrugginiti su cui cresce alta l’erba, talvolta anche in qualche carro merci parcheggiato o in qualche stazione abbandonata. E tutto ciò testimonia di un passato ferroviario della penisola, perché quanto a un suo presente pare non esservi traccia. Ora, il progetto con cui López Obrador ha voluto esordire in fatto di grandi opere non è nuovo nella storia recente del Messico.
La differenza col passato, che ha registrato vari fallimenti sul tema, è che l’attuale presidente parte con un sostegno prima mai registrato, e con una volontà di cambiare davvero la situazione, vista l’aspettativa che la sua elezione ha suscitato nel paese.
Per questo, quello di Amlo, che ha ben presente il potenziale economico rappresentato dalla cultura Maya, non a caso sarà “un treno moderno, turistico e culturale” capace di far scoppiare lo sviluppo economico di Cancún, Tulum, Calakmul, Palenque e Chichen Itzá. Un’opera il cui costo varierà tra i sei e gli otto miliardi di dollari, ed è in pratica un ampliamento di un preesistente progetto di ferrovia lunga 900 chilometri che sarebbe dovuta passare per Tabasco, Chiapas e Quintana Roo. Con l’idea di aggiungere altri 600 chilometri per passare attraverso Campeche e Yucatán lungo la via dell’antica ferrovia che collegava Palenque a Valladolid, ecco nascere il Tren Maya, finanziato dall’imposta del turismo che apporta alle casse messicane circa 370 milioni di dollari all’anno.
Un’opera che secondo quanto affermato dal presidente “mette in comunicazione una delle regioni maggiormente importanti culturalmente nel mondo”, che potrà essere finanziata con sei anni di imposta turistica e che solo nel caso tale finanziamento si rivelasse insufficiente darà vita a investimenti pubblici e privati.
Tant’è che il mondo degli affari messicano non è rimasto insensibile alla grandiosità del progetto e solo qualche dubbio è stato espresso sui tempi di realizzazione, che secondo alcuni osservatori occuperanno tutti i sei anni di presidenza. Con in più che da parte delle imprese la speranza che il progetto sia realizzato con le forze che operano nel paese è palpabile. E questo potrebbe essere un altro valore aggiunto che il treno potrebbe essere capace di garantire.
Tuttavia, alcuni osservano che problemi potranno venire dalla necessità di contrattare con le comunità che saranno in qualche modo danneggiate, in parte indigene e in parte composte da usufruttuari di terre, e dal fatto che il tracciato passa attraverso zone protette, la qual cosa ha già sollevato l’allarme degli ambientalisti.
Se non si riuscisse ad arrivare a una composizione delle varie problematiche, il progetto potrebbe subire ritardi o addirittura essere fermato, vanificando la grande offerta di impiego che il è destinato a creare, altro architrave su cui poggia il ragionamento del nuovo presidente in regioni del paese in cui è fondamentale spingere lo sviluppo economico anche col ricorso ai fondi pubblici. E potrebbe segnare di conseguenza il fallimento di una parte importante del progetto presidenziale, tanto importante da pregiudicare l’intero sessennio.
( https://ytali.com/2018/12/31/messico-il-treno-maya-di-amlo/)