Pubblico alcuni appunti del mio viaggio da Kandy a Jafna in Sri Lanka attraverso il territorio in mano al Tamil Eelam avvenuto a fine luglio del 2003, approfittando di una tregua dei combattimenti tra esercito cingalese e tigri tamil. All’epoca un grande ruolo di mediazione era stato esercitato dal governo norvegese, e le speranze di arrivare a una composizione dello scontro erano concrete.
Tuttavia il 23 novembre 2008 le truppe del governo cingalese attaccarono di sorpresa la città e roccaforte Tamil di Kilinochchi. Lo scopo era quello di riconquistare tutta la zona di Jaffna. L’azione ebbe successo, poiché il 2 gennaio 2009 l’intera area occupata illegalmente per anni dalle Tigri Tamil passò in mani del governo cingalese, ad eccezione della città di Mullaivitu e della giungla circostante.
Il 25 gennaio 2009 le truppe dello Sri Lanka entrarono a Mullaivitu ed ingaggiarono un’aspra battaglia con i ribelli. In un solo giorno le truppe governative ebbero la meglio, riuscendo ad entrare in città. Tra il 10 marzo 2009 ed l’11 marzo 2009, svariati attentati suicidi fecero 14 morti tra i civili cingalesi.
Il conflitto finì il 17 maggio 2009, quando le Tigri Tamil si trovarono irrimediabilmente accerchiate durante uno dei numerosi scontri con l’esercito e si arresero. Il giorno successivo, 18 maggio 2009, il leader e fondatore delle Tigri Velupillai Prabhakaran fu ucciso in un’imboscata organizzata da soldati governativi.
Il numero delle vittime totali della guerra si stima essere non inferiore alle 80 000. Durante questo conflitto le forze regolari cingalesi hanno giustiziato numerosi prigionieri di etnia tamil. Lo Sri Lanka è uno stato a stragrande maggioranza buddhista. Indù, musulmani e cristiani sono un’infima minoranza. Non è ancora chiaro chi abbia attuato la carneficina di Pasqua. Una cosa rimane certa: sangue chiama sangue. E un mondo che si basa sulle ingiustizie è un mondo destinato a produrne altre.
Di seguito i miei appunti di allora.
27 luglio – Parto in auto da Kandy verso nord. Con l’andar del tempo noto una sempre più massiccia presenza di accampamenti militari e posti di blocco. Fino a Vanuniya la situazione appare sotto controllo da parte dei cingalesi, anche se mi imbatto sempre più frequentemente in check points. In uno dei posti di controllo mi chiedono di lasciare copia del mio passaporto mentre il mio zaino viene ispezionato dai militari. Passato l’ultimo posto di blocco cingalese, Nilan, l’autista della mia auto che parla tamil, imbocca una strada che corre nella fascia di terra di nessuno. All’inizio della strada e alla fine ci sono due postazioni della Croce Rossa internazionale. Una volta passata l’ultima postazione della Croce Rossa, arrivo al confine del Tamil Eelam. Qui c’è il posto di controllo tamil, dove vedo parecchi camion controllati minuziosamente, svuotati dalla merce accatastata a terra. Pure le auto vengono controllate attentamente, e stessa sorte viene riservata alla mia. Viene invece risparmiato il mio zaino che ho dovuto portare a spalle al posto di controllo. Quando i tamil vedono che sono un occidentale mi fanno passare senza ispezionarlo. Sono l’unico occidentale presente, e tale rimarrò fino a quando lascio dopo due giorni il territorio Tamil, per far ritorno in quello cingalese a Tricomalee. Ad ogni modo, trattandosi di un confine di stato, mi fanno compilare una richiesta di entrata in tamil. Non capisco una parola e mi aiuta una ragazza, un’addetta civile della frontiera, che parla inglese. I Tamil sono tutti gentili, sorridono, non sembra nemmeno di entrare nel territorio di un paese in guerra. Finiti controlli e formalità, riprendo il viaggio alla volta di Kilinochchi, la capitale tamil. Lungo la strada numerosi sono i cartelloni che inneggiano alla lotta. Una volta in città, i militari non girano armati, molte sono le ragazze soldato del Tamil Eelam, con le loro camicie con la tigre sulla spalla destra. Molte sono davvero belle e mi sorridono. Dopo qualche ora lascio Kilinochchi alla volta di Jafna. E ricominciano i posti di blocco cingalesi, questa volta meno attenti e scrupolosi. Tanto che alla fine non è poi molto il tempo che perdo. Giungo così all’Elephant Pass, campo di battaglia degli ultimi scontri, in un panorama che si fa sempre più desolato e desertico. Molte sono le tracce delle bombe e le case distrutte, con crateri nel terreno tutto attorno. La strada che la mia auto percorre in mezzo ai campi minati mi porta fino a Jafna. Trovo una guest house e subito mi dirigo a piedi verso il Jafna Fort, un forte costruito dagli olandesi a forma di stella. Alla fine lo trovo, ma un soldato armato mi dice che dentro non rimane in piedi nulla, solo le mura esterne. Ritorno a Jafna dove per strada attiro l’attenzione della gente che mi invita nelle case e mi offre da bere. L’arrivo di un occidentale è visto come un segno di pace, il segno che il passato di guerra è alle spalle. Vorrei andare a fare il bagno in una delle splendide spiagge ma mi dicono che sono tutte minate. Il giorno dopo riparto alla volta di Vavuniya non senza altri controlli. Lungo il tragitto mi fermo più volte per le operazioni di sminamento in corso. La cosa incredibile è che mi consentono di avvicinarmi senza problemi agli artificieri, e scatto parecchie foto. Poco dopo Nilan prende una strada ridotta malissimo che corre in mezzo alla foresta in direzione di Trincomalee. Ci imbattiamo in branchi di elefanti selvaggi, in un paesaggio incontaminato e bellissimo. Arrivo a Trincomalee senza aver incrociato anima viva lungo la strada. Raggiungo il mare poco prima del tramonto e dopo dieci ore di viaggio.