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La spallata con la quale Juan Guaidó ha tentato di abbattere il regime di Maduro è sostanzialmente fallita. Della quarantina di militari che nella base di La Carlota l’hanno seguito, una buona metà ha chiesto rifugio all’ambasciata brasiliana, mentre il leader del partito Voluntad Popular, Leopoldo López, fuggito dagli arresti domiciliari dove scontava una condanna a 14 anni e sulla cui testa pende un ordine di cattura del tribunale supremo di giustizia, è ospite della legazione spagnola, che ha già fatto sapere che non ha alcuna intenzione di consegnarlo alla polizia chavista.

Dalle confuse notizie che filtrano, si fa sempre più concreta la sensazione che tutta la partita sia stata connotata da una buona dose di fretta e pressapochismo, in cui la stessa amministrazione americana è caduta con il segretario di stato Mike Pompeo e John Bolton. Si fa avanti persino il sospetto che le tre alte cariche venezuelane, tra cui spicca il ministro della difesa Padrino, che avevano deciso di passare con l’opposizione per dare il via al dopo Maduro, siano state in realtà parte di un gioco pensato dai servizi russi teso a far fare un passo falso a Guaidó. Altre voci parlano di un presidente interino che ha deciso di anticipare la sollevazione per evitare di essere arrestato il Primo Maggio.

Quel che emerge dal fallito tentativo di mettere fine all’era Maduro, oltre alle quattro vittime degli scontri, è l’insufficienza della leadership di Juan Guaidó che aveva basato la sua scommessa sull’ipotesi che alla sollevazione popolare si sarebbe subito aggiunto l’esercito, nelle cui fila il malcontento serpeggia sempre di più, e ai cui quadri compromessi col chavismo è stata promessa l’amnistia.

Se di tentativo di golpe si può parlare, nello scorrere delle ore si è capito che l’opposizione rimaneva al palo, la sollevazione militare circoscritta, con i gangli del potere, come le televisioni, saldamente in mano di Maduro.

Per quanto le critiche rimangano sotto traccia, sono tutti errori ora imputati a Juan Guaidó, la cui figura si va scolorendo e indebolendo a scapito di Leopoldo López, che sempre più sta assumendo i contorni di leader dell’opposizione.

Ieri ha dichiarato di aver promosso numerose riunioni con molti militari disposti a mettere fine al regime. A loro spetterà un ruolo ben più ampio di quanto successo lo scorso 30 aprile, in un processo che in qualche settimana dovrebbe portare alla nascita di un governo di opposizione.

In un’intervista all’agenzia spagnola EFE, López ha anche detto che l’intervento militare rimane un’opzione che l’opposizione a Maduro considera legale perché prevista dalla Costituzione. Uno scenario che potrebbe aprire per il Venezuela la prospettiva di una guerra civile alla siriana, che metterebbe gli Stati Uniti nella condizione di affrontare il possibile veto di Cina e Russia all’Onu e un lungo iter di approvazione da parte dell’Organizzazione degli Stati Americani.

A meno che Trump, dando retta ai falchi Pompeo e Bolton, e tenendo d’occhio le presidenziali dell’anno prossimo, non decidesse per una soluzione unilaterale che alzerebbe in modo imprevedibile lo scontro geopolitico con Russia e Cina a livello globale.