Il parlamento boliviano, in cui il Movimiento al Socialismo di Evo Morales ha la maggioranza, ha approvato ieri una legge che fissa il termine del 18 ottobre come data massima per la convocazione delle elezioni presidenziali che dovranno mettere fine al lungo governo interinale di Jeanine Áñez.
Immediatamente dopo, la presidente ha promulgato la legge che dovrebbe mettere fine ai dodici giorni di proteste con blocchi stradali che hanno causato grossi problemi di rifornimento alle città, in un momento in cui il paese vive nella crisi sanitaria per il coronavirus. Una lotta le cui conseguenze si sono anche fatte sentire sui rifornimenti di ossigeno, necessari ai malati di Covid-19.
In un quadro normativo finalmente chiaro, il Tribunale Supremo Elettorale all’unanimità ha confermato il 18 ottobre “come data definitiva, inamovibile e improrogabile della giornata elettorale”. Una data che secondo il presidente Salvador Romero “permette di conciliare la protezione della salute pubblica con l’esigenza costituzionale di eleggere le autorità del potere legislativo ed esecutivo”.
Le elezioni erano in origine previste ai primi di maggio, ma il sopraggiungere della pandemia del nuovo coronavirus ne ha impedito lo svolgimento, e l’ulteriore slittamento da settembre al mese di ottobre aveva scatenato la protesta dei movimenti sociali che si riconoscono nel Patto di Unità e nella Central Obrera Boliviana (Cob). Oltre a chiedere il mantenimento della data di settembre, i movimenti si sono mobilitati per ottenere le dimissioni della presidente ad interim.
Nei giorni scorsi l’ex presidente Evo Morales era intervenuto per chiedere che accettassero lo slittamento della data delle elezioni, e che soprattutto desistessero dalla richiesta di dimissioni di Jeanine Áñez, in quanto ciò avrebbe potuto spostare ancora più avanti la data delle presidenziali.
In seguito all’uscita di Evo, i deputati del MAS sono arrivati ad un accordo col governo e hanno approvato ieri la legge che dovrebbe mettere fine alle proteste e ai blocchi stradali. Lo stesso Morales ha twittato che l’accordo raggiunto in parlamento “ha sancito la legge che garantisce le elezioni in Bolivia con una scadenza definitiva, non prorogabile, che protegge da possibili inganni con garanti internazionali. E ciò che è più importante: impedirà un nuovo massacro”. L’accordo è stato giudicato favorevolmente anche dalla comunità internazionale, dalla Chiesa cattolica, dall’Unione europea e dall’Organizzazione degli stati americani (Osa).
Unica voce contrastante, quella dei movimenti sociali vicini al Movimiento al Socialismo (Mas) che hanno respinto l’intesa e denunciato di essere stati esclusi dal processo di negoziazione. In una conferenza stampa convocata pochi minuti prima dell’approvazione delle legge da parte del parlamento, hanno affermato che l’accordo è stato raggiunto senza consultare le parti sociali e ignorando le altre richieste della base nel campo della salute, dell’istruzione e del lavoro.
La decisione segna una inedita rottura con Evo Morales e con la dirigenza del MAS che a livello parlamentare si è allineata alla linea suggerita dall’ex presidente. Secondo quanto dichiarato dai loro portavoce, i movimenti si sono sentiti “traditi” da una legge concordata “sottobanco tra potere legislativo, esecutivo ed elettorale”.
La presa di posizione dei movimenti potrebbe tuttavia essere solo momentanea, dal momento che i dirigenti della COB e del Patto di Unità hanno deciso di consultare la base in merito al futuro delle mobilitazioni di protesta nata lo scorso 3 agosto dopo la decisione del Tribunale Supremo Elettorale di rinviare la data delle elezioni generali dal 6 settembre al 18 ottobre. Fino a nuova decisione, i 142 i blocchi stradali vengono comunque mantenuti.
Otto sono i candidati che si presentano alle elezioni presidenziali, dove il MAS, il partito dell’ex presidente Evo Morales, è dato per favorito e schiera il binomio composto dall’ex ministro delle Finanze Luis Arce e dall’ex ministro degli Esteri David Choquehuanca. Si candida anche la presidente “ad interim” Jeanine Áñez, la cui discesa in campo ha suscitato molte polemiche nel paese e ha diviso ancor più il fronte che vuole archiviare definitivamente l’epoca di Evo.
Carlos Mesa, già alla guida del paese dall’ottobre del 2003 al giugno del 2005, è a capo della coalizione Comunidad Ciudadana (CC), corre con l’appoggio di Gustavo Pedraza, riproponendo il ticket arrivato secondo alle invalidate elezioni del 20 ottobre. Secondo i sondaggi, Luis Arce è in testa con il 24 per cento, anche se la propaganda del MAS assicura che l’erede di Morales vincerà al primo turno. Lo segue il candidato di Comunidad Ciudadana, Carlos Mesa, con il 20 per cento. La presidente ad interim si posiziona al terzo posto con il 16 per cento. Alto il numero degli indecisi, che è più che raddoppiato rispetto a febbraio, passando dal 9 al 20 per cento.