L’isola Guafo, a trentasette chilometri a sud di Chiloé nella Patagonia cilena, segna l’entrata al Golfo di Corcovado, il luogo più importante per l’alimentazione delle balene azzurre e le megattere che in stagione solcano numerose le sue acque, già fortemente impoverite dagli allevamenti intensivi del salmone.
Unica traccia umana fino ad ora presente, un presidio della marina militare cilena incaricata di accudire il faro. L’isola misura circa ventimila ettari con più di 44 miglia di costa, e fa parte del territorio ancestrale della locale comunità mapuche, costituendo una delle molte proprietà collettive di cui gli abitanti originari sono stati negli anni spogliati a favore dei privati, e per la cui restituzione si stanno da anni battendo, in Cile e in Argentina.
Come è già accaduto per altre terre, Guafo, nonostante ospiti una grandissima varietà di flora e fauna, tra cui leoni marini, pinguini di Magellano, berte grigie e balene azzurre, è da circa un secolo proprietà privata che ora ha deciso di metterla in vendita per venti milioni di dollari attraverso Private Island Inc. e Sotheby’s Realty, sito da cui è fatta sparire, probabilmente in seguito alle polemiche suscitate dalla notizia.
La decisione ha infatti scatenato la reazione del mondo ambientalista e di parte della politica cilena mobilitatisi per difendere la grande biodiversità presente nell’isola oltre ai legittimi diritti degli indigeni.
Il motivo della vendita di Guafo da parte dei proprietari Paul Fontaine e Rodrigo Danús, quest’ultimo nipote del generale Luis Danús Covian, ministro dell’economia durante il governo di Augusto Pinochet, è l’impossibilità di dare inizio allo sfruttamento del carbone presente nell’isola e di avviare in loco progetti termoelettrici.
Ciò che ha spinto i due proprietari è stata comunque la decisione dello scorso anno con cui il governo cileno ha avviato un piano che prevede di chiudere entro il 2040 i 28 impianti termoelettrici che utilizzano carbone come materia prima.
Le caratteristiche di biodiversità dell’isola avevano convinto nel 2017 il WWF a promuovere una campagna tesa all’approvazione di una legge che tutelasse gli spazi costieri marini delle popolazioni originarie, attraverso l’adozione di provvedimenti che impedissero nelle zone interessate l’installazione di infrastrutture che potessero in qualche modo danneggiarne le caratteristiche culturali, ecologiche e l’ecosistema.
La notizia è stata ripresa anche da alcuni organi di stampa estera come l’argentino Clarín e l’inglese The Guardian, con il risultato di ravvivare in Cile il dibattito su proprietà privata e patrimonio nazionale, in un momento in cui il paese si avvia al referendum costituzionale che dovrebbe archiviare definitivamente la costituzione voluta nel 1990 da Augusto Pinochet.
Tenuto conto, soprattutto, che il ministero dell’ambiente ha dichiarato che l’isola e le sue acque essendo in mano privata, per la legislazione in vigore “non possono essere dichiarate parco nazionale, monumento naturale o riserva nazionale”.
Nel frattempo, si è fatto avanti un preteso erede, tale Vittorio Natoli, che l’avrebbe avuta dal nonno, le cui intenzioni erano quelle di proteggerne flora e fauna. La sua prima mossa è stata quella di presentare un ricorso al tribunale civile di Santiago, chiamato a fare luce sui veri proprietari, arrestando automaticamente la vendita.
Secondo quanto dal Natoli dichiarato, sua intenzione, una volta chiarito che gli spetta il diritto alla proprietà, è quella di intavolare una trattativa con lo Stato cileno al fine di farne una riserva naturale, come era nelle volontà della sua famiglia, il che potrebbe comunque non essere a costo zero per il governo cileno.
Se ciò avvenisse, forse potrebbe corrispondere a quanto richiesto dal lonko Cristian Chiguay, il capo di undici comunità Lafkenche di Quellón, che dalle colonne del Guardian ha dichiarato che “stiamo chiedendo al governo che prenda in considerazione di tornare” all’isola, al fine di conservarne il valore che per i mapuche rappresenta “una fonte di vita e di potere spirituale. Per noi non è un affare, non ha valore commerciale”, e che identifica un luogo della madre terra che costituisce l’impalcatura spirituale e rituale che va ascoltata, cantata, celebrata.
L’isola di Guafo, quindi, come tanti altri luoghi in Patagonia, dove i mapuche superstiti, gli ultimi nella scala sociale dei due paesi, raccolgono ricci di mare e alghe.
Una soluzione almeno fino a quando, se l’esito del referendum sarà favorevole al cambio, una nuova costituzione dovrà finalmente affrontare l’annosa questione dei popoli originari che vivevano nel Wall Mapu in un territorio che andava dall’oceano Atlantico al Pacifico. Sul cui genocidio sono nati lo stato nazionale cileno e quello argentino, che li hanno trasformati in nemici interni al fine si impossessarsi delle terre su cui hanno sempre vissuto.