Secondo un sondaggio pubblicato ieri dall’Istituto IPEC, l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva conserva la sua posizione di favorito alle elezioni brasiliane il 2 ottobre con il 44 per cento delle intenzioni di voto. Lula che ha governato il Brasile tra il 2003 e il 2010, mantiene 12 punti percentuali di vantaggio sul suo principale avversario Jair Bolsonaro, esponente dell’estrema destra e attuale presidente del gigante sudamericano, al quale il sondaggio riconosce il 32 per cento dei voti.
Fuori partita il laburista Ciro Gomes che era stato il terzo candidato più votato nel 2018, e la senatrice Simone Tebet del Movimento Democratico Brasiliano (MDB), il partito di centro-destra più tradizionale del paese. Una previsione che conferma la polarizzazione nelle elezioni presidenziali brasiliane del prossimo ottobre dato che i candidati dei partiti di centro e centro-destra non hanno alcuna possibilità di incidere sull’esito finale. Se si andrà al ballottaggio, Lula vincerebbe con il 51 per cento dei voti, mentre l’attuale presidente otterrebbe il 35 per cento delle preferenze.
Una parte del sondaggio ha riguardato anche la gestione di Bolsonaro, valutata come buona dal 29 per cento e pessima dal 43 per cento degli intervistati, mentre dal 26 per cento è considerata regolare. Il margine di errore è di circa due punti percentuali, con un livello di affidabilità del 95 per cento.
In un’intervista rilasciata a Tucker Carlson di Fox News, Bolsonaro ha sostenuto che “se la sinistra torna al potere non lascerà mai il potere e questo paese seguirà la stessa strada di Venezuela, Argentina, Cile, Colombia. Il Brasile sarà un’altra auto su quel treno, (…..) tutto il Sud America si tingerà di rosso e gli Stati Uniti diventeranno praticamente un paese isolato”.
Dal fronte opposto, in una intervista all’agenzia di stampa Efe, la leader indigena Sônia Guajajara, una delle cento personalità più influenti del mondo del 2022 secondo Time Magazine, che ad ottobre concorre per un seggio al Congresso brasiliano, ha dichiarato che il suo scopo è quello di porre fine al “progetto di distruzione” ambientale di Jair Bolsonaro. “Se Bolsonaro vince, il futuro dell’Amazzonia sarà tragico. L’Amazzonia diventerà un vero deserto”, ha detto ad Efe.
Sônia Bone de Souza Silva Santos, comunemente nota come Sônia Guajajara, è un’ambientalista e politica indigena brasiliana. È membro del Partido Socialismo e Liberdade (PSOL) che aggrega diverse correnti interne, da quella riformista a quella rivoluzionaria. Una formazione creata da dissidenti del Partito dei Lavoratori (PT) che non erano d’accordo con le politiche del partito. Già al tempo del primo anno di governo di Lula, Luciana Genro, Heloísa Helena, Babá e João Fontes avevano ignorato le linee guida del PT votando contro la riforma delle pensioni del governo, finendo per essere espulsi dal consiglio nazionale del partito.
Sônia Guajajara è stata inizialmente candidata alla presidenza del Brasile nel 2018 prima di essere scelta come vicepresidente del candidato Guilherme Castro Boulos. Questo l’ha resa la prima persona indigena a candidarsi per una carica federale in Brasile.
Dal canto loro, accademici, sindacalisti, imprenditori e altri settori della società civile brasiliana hanno manifestato giovedì 11 agosto a San Paolo “in difesa della democrazia”, in risposta agli attacchi del presidente Jair Bolsonaro alle istituzioni, il quale ha spesso criticato i giudici della Corte Suprema e messo in discussione l’affidabilità del sistema di voto elettronico in vigore in Brasile, alimentando i timori che potrebbe non riconoscere un’eventuale sconfitta.
Nelle ultime settimane, più di novecentomila rappresentanti della società civile hanno firmato un manifesto “in difesa della democrazia” lanciato dell’Università di San Paolo. Lettere simili sono state pubblicate da importanti associazioni imprenditoriali, tra cui la Federazione brasiliana delle banche (FEBRABAN) e la Federazione delle industrie di San Paolo (FIESP). Una cosa che molti osservatori della politica brasiliana considerano come una battuta d’arresto per Bolsonaro, dal momento che la maggior parte della comunità imprenditoriale lo aveva sostenuto nelle elezioni del 2018.