Altri dodici morti lunedì vicino all’aeroporto della città peruviana di Juliaca, nel dipartimento di Puno, a causa degli scontri che sono scoppiati tra la polizia e i manifestanti che chiedevano la convocazione di nuove elezioni e il rilascio del destituito ex presidente Pedro Castillo. Con le vittime di ieri, sommano a trentaquattro i decessi di manifestanti che sono scesi in piazza per protestare contro la destituzione del presidente Castillo per “incapacità morale”. Castillo attualmente è in prigione per scontare una detenzione preventiva di diciotto mesi e dovrà affrontare un processo per il reato di ribellione, mentre la sua famiglia ha trovato rifugio politico in Messico. La giornata di ieri si è chiusa con il numero di vittime più alto da quando le proteste sono iniziate lo scorso dicembre, ma blocchi stradali sono in corso in sei dei ventiquattro dipartimenti del paese: Apurímac, Cusco, Madre de Dios, Amazonas, Arequipa e Puno, comprendenti quindi aree di interesse turistico.
Se alcuni gruppi e associazioni che tutelano i diritti umani hanno più volte accusato le forze di sicurezza di far uso di armi da fuoco e di lanciare bombe fumogene da elicotteri per disperdere i manifestanti, l’esercito si difende accusandoli di usare armi ed esplosivi fatti in casa. Dopo la pausa delle feste natalizie, le manifestazioni hanno ripreso vigore soprattutto nel sud del paese con l’obiettivo di ottenere le dimissioni del nuovo presidente, Dina Boluarte, un nuovo Parlamento e lo svolgimento immediato di elezioni – già anticipate dal 2026 all’aprile 2024. I manifestanti chiedono anche modifiche alla Costituzione che era stata introdotta dall’ex presidente autoritario Alberto Fujimori.
Da Lima, una fonte dell’ufficio del difensore civico ha fatto sapere che “abbiamo confermato dodici morti oggi a Puno, durante gli scontri con le forze dell’ordine nelle vicinanze dell’aeroporto di Juliaca”, mentre un responsabile del ospedale cittadino ha fatto precisato che le vittime riportavano impatti di proiettile nel corpo. Gli scontri si sono verificati durante un tentativo di occupare l’aeroporto di Juliaca, che è sotto la protezione della polizia e dei militari. Un tentativo simile era avvenuto il 7 gennaio.
Intanto, sempre ieri, le autorità peruviane hanno interdetto l’entrata nel paese a nove cittadini boliviani, tra cui l’ex presidente Evo Morales, perché minerebbero la sicurezza del paese. Morales ha sempre sostenuto l’ex presidente peruviano Pedro Castillo, affermando che la sua destituzione e la sua successiva detenzione sono illegali e incostituzionali.
La reazione di Evo Morales è stata immediata ed è avvenuta mediante una presa di posizione sui suoi social network. Attraverso Twitter, l’ex presidente boliviano ha denunciato che “ora ci attaccano per distrarre ed eludere le responsabilità per gravi violazioni dei diritti umani dei nostri fratelli peruviani”, e ha aggiunto che i conflitti politici non possono essere risolti con “espulsioni, divieti o repressione”. Già nel novembre 2021, la commissione per gli affari esteri del Congresso aveva dichiarato Morales persona non grata “per il suo negativo attivismo politico in Perù e la sua evidente interferenza e interferenza nell’agenda del governo”.
Evo Morales, che ha governato la Bolivia dal 2006 al 2019, ha partecipato attivamente alla politica peruviana da quando l’ex presidente Castillo è salito al potere nel luglio 2021. Dopo la sua destituzione il 7 dicembre, Evo ha espresso il suo sostegno alle proteste che chiedono la cacciata di Dina Boluarte e, in particolare, a quelle che si svolgono nel dipartimento di Puno, nella regione aymara che confina con la Bolivia.