Il 30 aprile il Paraguay ha eletto un nuovo presidente della Repubblica, il Senato e la Camera dei Deputati, i governatori e i membri dei consigli governativi. Ha nuovamente vinto il “continuismo” sull’alternanza, imponendo Santiago Peña del Partido Colorado, che ha ottenuto il 42,7 per cento dei voti, mentre il suo rivale, il liberale Efraín Alegre, si è fermato al 27,4 per cento, seguito da Paraguayo (Payo) Cubas con il 22,9 per cento.
Anche questo appuntamento elettorale ha espresso un punto in comune in quasi tutte le candidature, dato che la maggior parte di chi aspirava ad un posto di senatore, deputato, governatore e membro di consigli governativi, era maschio. Su un totale di 9.095 candidati, 6.098 erano uomini e solo 2.997 donne. Inoltre, meno dell’1% delle candidature proveniva dai 19 popoli indigeni che vivono in Paraguay.
Senza, quindi, alcuna sorpresa, il Partido Colorado è stato la formazione principale in queste elezioni, come lo è stato in tutte le altre. Di fatto domina la scena politica dal 1947, sotto governi civili o militari, compreso il periodo della dittatura di Alfredo Stroessner (1954-1989).
Eccetto il periodo che va dal 2008, quando i Colorados hanno dovuto cedere il potere dopo il trionfo del vescovo progressista Fernando Lugo, al 2012, quando Lugo è stato destituito attraverso una procedura parlamentare di impeachment piena di irregolarità, l’Asociación Nacional Republicana (ANR), il nome ufficiale del Partido Colorado, ha sempre governato e nelle elezioni del 2013 è tornata al potere grazie alla sua solida struttura politica, basata sul controllo dell’apparato statale e sul clientelismo elettorale.
La recente vittoria di Santiago Peña non è stata comunque una passeggiata, dato che il partito che lo ha candidato vive da tempo una divisione tra l’attuale presidente Abdo Benítez e l’ex presidente Horacio Cartes, che si sono scambiati vicendevolmente accuse di corruzione. Per quanto entrambi siano espressioni della destra e dello stesso partito, lo scontro tra i due non è cessato, fino a dividersi anche sui nomi dei candidati alla presidenza. Finché il 18 dicembre del 2022 Peña, candidato di Cartes di cui è stato ministro delle finanze e per questo accusato di essere “impiegato del padrone”, ha vinto le primarie dei colorados.
Il nuovo presidente è un liberale in economia ed ha lavorato al Fondo Monetario Internazionale. Come ministro delle finanze di Cartes si è distinto per aver imposto politiche di austerità, e alla fine dei suoi due anni come ministro nel 2017 è entrato nel board del Banco Basa, di proprietà di Cartes. In campagna ha promesso di voler controllare l’inflazione e che avrebbe creato mezzo milione di nuovi posti di lavoro nei cinque anni del mandato, promuovendo nel contempo politiche finalizzate a favorire gli investimenti stranieri. Sul piano della politica interna, il suo messaggio principale ha fatto perno sulla sicurezza, facendosi promotore del rafforzamento delle forze di polizia, e nel febbraio scorso si è spinto persino ad elogiare l’ex dittatore Stroessner, “responsabile di più di 50 anni di stabilità in Paraguay”.
E’ possibile che l’uscita di Peña fosse dovuta alla necessità di assicurarsi i voti di destra, tuttavia desta perplessità la spiegazione da lui data successivamente. Quando ha detto che l’elogio di Stroessner si limitava al fatto che egli poté godere di un così forte accordo politico senza doversi preoccupare delle successioni presidenziali. “Questo permise, ha spiegato Peña, di disegnare politiche di lungo termine e mantenerle, senza l’insicurezza che provoca la politica elettorale.”
Ciò detto, è prevedibile che il nuovo governo seguirà la strada tracciata dall’ex presidente Horacio Cartes, e che dovrà affrontare i gravi problemi in ambito sanitario e educativo, nonostante le previsioni economiche per l’anno in corso prevedano una crescita del 4,5%.
Nella sua prima conferenza stampa dopo l’elezione, Peña ha segnato un cambio in politica estera rispetto al suo predecessore annunciando la sua intenzione di ristabilire le relazioni diplomatiche con Caracas, interrotte nel 2019. Mentre ha ribadito la sua volontà di mantenere l’attuale rapporto con Taiwan, ormai solo in America del Sud. La questione taiwanese è stata uno dei temi della campagna elettorale, con l’opposizione guidata da Efraín Alegre favorevole ad un riconoscimento di Pechino, che superasse la tradizionale posizione anticomunista di Stroessner nei confronti delle relazioni con i cinesi. Tanto più che la Cina Popolare è da tempo diventata il primo partner commerciale dell’America Latina e che i benefici economici derivanti dal rapporto con Taipei sono del tutto trascurabili rispetto ai costi che l’economia paraguayana deve affrontare per rendere possibili le triangolazioni che le sue esportazioni devono fare per raggiungere Pechino.
Efraín Alegre, presidente del Partido Liberal Radical Auténtico (PLRA), già ministro dei lavori pubblici e delle comunicazioni durante il governo di Lugo, è il candidato che è risultato sconfitto. Alegre è un politico di orientamento centrista con venature progressiste. Questo era il suo terzo tentativo come candidato alla presidenza. Prima si era infatti candidato contro Cartes nel 2013, e contro Abdo Benítez nel 2018, perdendo di poco. Alle elezioni del 30 aprile si era presentato dopo aver vinto le primarie di un ampio schieramento riunito per l’alternanza, e in campagna elettorale ha insistito sul tema della corruzione affermando che il Paraguay, a causa di uomini come Cartes, vive un processo di “messicanizzazione”, alludendo alla presenza del crimine organizzato nel Paese.
Il Paraguay è il maggior produttore di cannabis in Sud America con un fatturato annuo da 800 milioni di dollari. Negli ultimi tempi si è trasformato soprattutto in un crocevia molto importante del traffico della cocaina che dalla Bolivia e dal Perù giunge ai porti di Santos, Rosario o Montevideo, collegando, grazie al suo sistema fluviale, la zona di produzione andina ai porti sull’Atlantico. Nel suo territorio operano gruppi narcos come il brasiliano Primeiro Comando da Capital. Sta di fatto che il crimine legato al narcotraffico si è consolidato nelle regioni di frontiera, dove controlla vaste aree di territorio, e questo sarà con ogni evidenza il problema più preoccupante nei prossimi anni.
Il programma di governo di Alegre prevedeva la nascita di un sistema sanitario pubblico, gratuito e di qualità, contrapposto alle privatizzazioni proposte da Peña, e la riduzione del 50% del costo del trasporto pubblico per gli universitari. Nello schieramento che lo appoggiava, grande peso ha avuto il Frente Guasú dell’ex presidente Fernando Lugo, soprattutto dopo che la candidata alla presidenza di questa formazione si è ritirata dalla competizione per appoggiare Alegre.
Terzo arrivato, Paraguayo (Payo) Cubas del Partido Cruzada Nacional (PCN), candidato antisistema che ha ottenuto 692mila voti, un’enormità. Cubas, simile all’argentino Javier Milei, è l’ultimo dei fenomeni latinoamericani capaci di mobilitare movimenti antisistema che sfruttano la rabbia contro l’ordine stabilito facendo ricorso al populismo digitale, spesso antidemocratico, e facendo leva sullo scontento sociale esteso che vede nella politica l’origine delle proprie frustrazioni. Tenuto conto che il Partido Colorado ha più o meno conservato i suoi voti delle primarie e che Alegre ha perso quasi 300mila voti rispetto al 2018, pare evidente che il successo di Cubas ha danneggiato fortemente la Concertación Nacional di Efraín Alegre.
Anziché festeggiare, Cubas ha denunciato di essere stato vittima di una frode elettorale scatenando la mobilitazione dei suoi seguaci che ha portato all’arresto di almeno 208 persone e di Cubas stesso. Alla richiesta di procedere ad un nuovo conteggio manuale delle schede si è aggiunto anche Alegre, oltre ad altri settori politici. Una richiesta che il Tribunale Superiore di Giustizia Elettorale ha deciso di respingere considerando, assieme agli osservatori internazionali, sostanzialmente regolare lo svolgimento delle elezioni.