Evo Morales ha accettato l’offerta di asilo politico in Messico. Va dato atto al governo di López Obrador e al suo ministro degli Esteri Marcelo Ebrard di essere riusciti allo stesso tempo a offrire a Morales una via d’uscita dignitosa, togliendo al Paese una presenza che rischiava di essere problematica. Nel partire per Città del Messico, Morales ha detto che tornerà più forte di prima. Possibile ma oggettivamente difficile, alla luce anche del rapido sgretolarsi del suo sistema di potere, crollato come un castello di carte. Va ricordato che la fine di Morales è stata provocata dalle manifestazioni popolari e in ultimo dal responso dell’Organizzazione degli Stati Americani che ha giudicato non valide le elezioni per numerosi brogli. Brogli imputabili al Tribunale Supremo Elettorale, organo cui si accede non per concorso pubblico, ma per nomina politica. Per spiegare meglio, un organismo controllato totalmente dal governo. Morales, ha gridato al colpo di stato che solo lui per anni ha tentato di fare. Prima non rispettando il referendum del 2016 che gli aveva impedito di ricandidarsi per la quarta volta, poi mettendo in piedi delle elezioni farsa il cui esito ha cercato di modificare nella notte del 20 ottobre, come ormai è chiaro anche ai sassi. I giornali gridano al colpo di stato, omettendo di dire a come si è arrivati a questa situazione per causa del governo, in primo luogo. Ora si parla di colpo di stato perché la polizia e l’esercito presidiano le strade del Paese nel tentativo di mettere fine alle violenze, da una parte e dall’altra. Ma si dimentica di dire che tale intervento è stato richiesto da Jeanine Añez, presidente del senato, praticamente l’unica autorità elettiva rimasta in carica dopo il fuggi fuggi dei sostenitori di Morales, alla quale spetta di portare il Paese a nuove elezioni. Come scrive oggi il quotidiano boliviano La Razón c’è oggettivamente un pericolo di vuoto di potere nel Paese. Anche nell’opposizione che ha vinto esistono figure inquietanti come quella di Luis Fernando Camacho, che si ispira chiaramente a Bolsonaro. Mentre il candidato arrivato secondo alle elezioni del 20 ottobre, Carlos Mesa, capeggia uno schieramento di centro sinistra, ed era perfino stato scelto da Morales per curare gli interessi della Bolivia nei confronti del Cile nell’annosa vicenda dello sbocco marittimo. La Bolivia ha bisogno di imboccare una strada sicura che la porti a nuove elezioni dove le forze in campo possano confrontarsi in un quadro democratico. Ogni altro approccio, anche da parte dell’informazione generalmente poco informata sui fatti boliviani nel nostro Paese, oltre che falsare la reale situazione, rischia di solo aumentare la confusione e favorisce oggettivamente gli interessi dell’estrema destra boliviana.
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