“In questa terra è facile nascere e morire, il difficile è vivere”. Pere Casaldáliga, il vescovo al quale si devono queste parole, il difensore degli indigeni dell’Amazzonia, è morto ieri in un ospedale di Batatais nel Mato Grosso all’età di novantadue anni. Era nato a Balsareny in Catalogna ed era stato ordinato sacerdote nel 1952. Nel 1968, durante la dittatura militare, si era trasferito nella missione di Sao Felix do Araguaia in Amazzonia.
A contatto con la realtà degli indigeni, Casaldáliga diventò un oppositore della dittatura militare e lottò contro lo strapotere dei latifondisti a favore dei contadini senza terra. Esponente della teoria della liberazione, era stato tra i fondatori della Commissione Pastorale della Terra (CPT) e del Consiglio Indigeno Missionario (CIMI), due organizzazioni che si sono battute per la riforma agraria.
Per il suo impegno a favore dei poveri, si è anche scontrato con il Vaticano e nel 1998 dovette affrontare un interrogatorio a Roma da parte del cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
L’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha dichiarato via twitter che “la nostra terra, il nostro popolo perdono un gran difensore e un esempio di vita generosa nella lotta per un mondo migliore, che ci mancherà molto”.
Per la sua attività, Casaldáliga ha vissuto nella costante minaccia dei sicari dei latifondisti, e anche se malato di Parkinson lo scorso luglio aveva firmato assieme ad altri centocinquanta vescovi brasiliani un documento di dura critica al presidente Jair Bolsonaro, accusato di incompetenza e incapacità nella gestione della crisi del coronavirus che in Brasile ha causato più di centomila morti, colpendo gli strati più deboli della popolazione e in particolar modo i popoli originari minacciati di estinzione.