Qualcosa si muove nell’amministrazione Biden nei confronti di Cuba e Venezuela. Lunedì il presidente americano ha annunciato di aver deciso di ristabilire i voli commerciali e charter con l’isola e di sospendere il limite di mille dollari a trimestre delle rimesse, una fonte di sostegno non indifferente che molte famiglie cubane ricevevano dai parenti residenti negli USA e che Donald Trump aveva tagliato.
Con questa decisione Biden tiene fede alla promessa fatta in campagna elettorale di cancellare alcune misure odiose del suo predecessore la cui volontà nei confronti di Cuba era quella di negare ogni apertura fatta da Barak Obama. Ristabilendo il programma di riunificazione famigliare tra i cubani dell’isola e dell’esilio, il governo ha anche annunciato di voler aumentare la concessione di visti di espatrio portandoli al numero di ventimila. Una misura che è tesa a favorire le migrazione legale a fronte di un fenomeno che, dopo la decisione del governo nicaraguense di abolire il visto di ingresso per i cubani, ha prodotto negli ultimi sette mesi un traffico di 115mila migranti clandestini che, raggiunto il Messico, hanno passato la frontiera per espatriare negli USA. Uno dei motivi dell’ultimo viaggio del presidente messicano López Obrador all’Avana.
Tuttavia, a fronte di queste piccole ma significative aperture, sul piano politico Biden ribadisce la dura contrapposizione nei confronti di Cuba, al cui governo ha richiesto di liberare i detenuti per motivi politici e di rispettare le libertà fondamentali dopo il giro di vite impresso a causa delle grandi manifestazioni di dissenso scoppiate l’11 luglio dell’anno scorso, nelle quali i cubani hanno intravisto lo zampino degli Stati Uniti.
Qualche novità c’è anche sul fronte dei rapporti tra Stati Uniti e Venezuela, che pur continuando a sostenere il governo ad interim dell’improbabile Juan Guaidó, a suo tempo individuato da Trump come possibile alternativa a Maduro in un tentativo di colpo di stato finito in farsa, stanno riconoscendo la necessità di un percorso realista finalizzato alla democratizzazione del Paese che sia negoziato e fattibile.
Seppur il cambiamento non sia eclatante sul piano delle conseguenze materiali, e soprattutto non comporti la possibilità di un qualsiasi guadagno per il governo venezuelano, gli USA hanno consentito all’impresa petrolifera Chevron di discutere un contratto con l’azienda statale del petrolio venezuelana (PDVSA) anche se esso non prevederà nuove perforazioni o esportazioni di greggio.
Di certo, la guerra di Putin, la politica di sanzioni dell’amministrazione Biden e il mare di greggio su cui galleggia il Venezuela hanno indotto gli americani ad un avvicinamento al governo di Maduro già all’indomani dell’invasione. Allora una delegazione yanquis era stata ricevuta a Caracas. Per quanto gli USA assicurino che la loro posizione nei confronti di Maduro non sia cambiata, la prospettiva di un allungamento del conflitto rende sempre più strategico il petrolio venezuelano. Con tutte le conseguenze di medio lungo periodo del caso.