Il 16 gennaio 1992 la firma di un accordo di pace tra il governo salvadoregno e la guerriglia del Fronte Farabundo Martí di Liberazione Nazionale ha messo fine a un conflitto che ha causato più di 75.000 morti, 7.000 dispersi e pesanti perdite all’economia del più piccolo paese dell’America Latina.
Il 16 novembre 1989, cinque giorni dopo che l’allora guerriglia del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN) aveva lanciato nella capitale San Salvador l’offensiva “Hasta el top”, un comando d’élite del battaglione Atlacatl dell’esercito salvadoregno ha ucciso nel campus dell’Università centroamericana (UCA) i gesuiti spagnoli Ignacio Ellacuría, allora rettore dell’UCA e esponente della teologia della liberazione, Segundo Montes, Ignacio Martín-Baró, Amando López e Juan Ramón Moreno, il salvadoregno Joaquín López, la lavoratrice dell’UCA Elba e sua figlia Celina Ramos di soli sedici anni. Ellacuría aveva denunciato le condizioni di sfruttamento e miseria della maggioranza contadina del paese, un impegno che aveva condiviso con l’arcivescovo di San Salvador, Óscar Arnulfo Romero. Ucciso da un sicario degli squadroni della morte agli ordini del governo mentre stava celebrando la messa nella cappella di un ospedale e proclamato santo da Papa Francesco il 14 ottobre 2018.
Nel settembre 1991, un tribunale ha processato nove militari come autori materiali del massacro, ma mai la giustizia del paese è riuscita a raggiungere gli autori intellettuali del crimine. Un obiettivo sempre rivendicato dalle organizzazioni umanitarie che in questi anni non hanno mai cessato di chiedere che sia fatta completa giustizia. Nel processo aperto dalla magistratura salvadoregna, il colonnello Guillermo Alfredo Benavides è stato condannato a trenta anni di prigione come autore materiale degli omicidi, mentre il tenente Yusshy René Mendoza è stato ritenuto responsabile della morte della minore Celina. Dal canto suo, l’Audencia Nacional de España ha condannato nel 2020 l’ex vice ministro della pubblica sicurezza di El Salvador, Inocente Montano, a 133 anni e quattro mesi di prigione.
Nel trentatreesimo anniversario del massacro, centinaia di salvadoregni, tra cui molti studenti dell’Università, hanno partecipato ad una processione e manifestato per chiedere di conoscere la verità sulla strage. La cui incredibile efferatezza può essere testimoniata da chiunque abbia visitato i locali dove essa è stata perpetrata e la mostra che ad essa è stata dedicata, e abbia visto le foto dei cadaveri, non esposte al pubblico, ma vedibili a richiesta.
“La verità è un diritto del popolo di sapere chi sono stati quelli che hanno commesso questi atroci crimini e perché li hanno commessi in modo che non si ripetano”, ha dichiarato il rettore dell’Università Centroamericana (UCA), il sacerdote gesuita Andreu Oliva. Mentre il Fronte Universitario Roque Dalton (FURD) ha chiesto in un comunicato di “portare alla luce tutte le atrocità commesse dall’esercito nelle dittature militari e ciò che la destra neoliberale ha continuato a fare fino ad oggi”.